L’Equipe multidisciplinare

L’Équipe Multidisciplinare (EM) è il dispositivo operativo previsto dalla sperimentazione per co-progettare, accompagnare e valutare i singoli progetti con i care leavers. Come le altre esperienze nazionali di programmi tesi a innovare le pratiche di lavoro nei contesti sociali e sociosanitari, anche questa sperimentazione necessita di un lavoro di équipe. Questo si colloca all’interno della cornice delle équipe multidisciplinari che oggi finalmente rappresentano un Livello Essenziale delle Prestazioni (LEP), pur presentando una peculiarità connessa al cambio di paradigma che segna la sperimentazione e su cui può essere utile soffermarsi.

Multidisciplinarità

La multidisciplinarietà ha caratterizzato nella vita dei servizi diverse esperienze configurandosi talvolta come presenza di professionisti di differenti discipline all’interno di un unico servizio (es. consultori familiari), oppure un dispositivo interistituzionale attivato o per specifiche progettualità o intorno a situazioni peculiari.

A distanza di 20 anni si rafforza il modello dell’équipe multidisciplinare intesa non come scatola formale – come talvolta è diventata in servizi storici – ma come stanza di pensiero per elaborare ipotesi, condividere strategie e monitorare gli interventi.

L’Equipe multidisciplinare in P.I.P.P.I.

Con P.I.P.P.I. vi è stato un approfondimento del dispositivo anche perché il carattere sperimentale ha consentito di mettere a sistema le esperienze  maturate nel tempo e  connotare l’EM in termini di attori, compiti, modalità di funzionamento, requisiti di efficacia. La presenza della scuola e delle agenzie di terzo settore che partecipano a P.I.P.P.I. nelle EM, ha permesso di superare alcuni steccati e di far convergere gli sguardi sui bambini e sui loro genitori con una visione multidimensionale delle persone e delle relazioni. La maggiore innovazione introdotta da P.I.P.P.I. è il coinvolgimento delle famiglie nell’équipe in tutte le fasi del processo di lavoro. Ciò ha richiesto un cambio di prospettiva in quanto i genitori sono diventati attori del processo come esperti dei loro figli: gli operatori lasciano la posizione di esclusività e si sviluppa un processo di co-conoscenza dei problemi, valutazione partecipata, ecc. in cui i punti di vista, anche divergenti, si confrontano in modo negoziale. La presenza dei genitori richiede una virata rispetto a un atteggiamento da parte dei servizi di contrapposizione sugli interessi dei figli e sollecita alla ricerca di convergenze e alleanze. Ciò che rende efficace l’équipe multidisciplinare è l’ancoraggio alle famiglie e non all’istituzione, la variabilità della composizione in base alle situazioni, la centratura sul progetto. Il cambiamento di paradigma rispetto alla prospettiva della tutela sta nel passaggio dalla necessità di proteggere le vittime – che richiede all’operatore di posizionarsi interponendosi tra il bambino e i genitori in forza di un mandato pubblico di protezione – alla costruzione di un’alleanza quando si valuta la presenza di vulnerabilità, ma anche di risorse rafforzabili.

Le diverse équipe multidisciplinari si differenziano per il livello basso, medio, alto di integrazione sociosanitaria e in alcuni casi educativa, ma sono fondamentalmente all’interno della cornice di welfare in senso stretto. Si caratterizzano per una centratura essenzialmente sul benessere fisico ed emotivo delle persone, bambini e adulti. La multidisciplinarietà consente di guardare la multidimensionalità della vita soggettiva e delle relazioni. Con P.I.P.P.I. lo sguardo si allarga ai contesti.

Al centro sono giovani adulti

Nella Sperimentazione l’innovazione è ancora più radicale. Innanzitutto al centro sono giovani adulti, nel delicato passaggio anagrafico e giuridico dalla minore alla maggiore età e sono senza riferimenti familiari. Come nelle EM proposte da P.I.P.P.I. è presente la famiglia, così nelle EM legate all’attuazione della sperimentazione devono essere presenti i giovani care leavers. L’équipe sollecita all’ascolto rispettoso e profondo con giovani feriti e speranzosi di cui i servizi finora si sono presi cura con l’occhio della tutela, motivati a proteggerli dalle violenze fisiche, psicologiche e relazionali inferte dal mondo adulto. Ora essi si pongono come coautori del loro progetto di vita, con i sogni e le paure di ogni 18nne e con la solitudine di chi non ha un posto sicuro dove rifugiarsi. I pensieri e l’azione della EM sono rivolti a mettere al centro sogni e bisogni del care leaver: la relazione con le ragazze e i ragazzi collocati fuori famiglia non potrà più essere prerogativa della comunità di accoglienza con i suoi educatori o della famiglia affidataria e dello psicologo. L’altra innovazione è la necessità di adottare pratiche di lavoro capaci di rendere concreta e facilitare la partecipazione attiva e consapevole dei ragazzi e delle ragazze alla regia di tutto il percorso. È quindi essenziale aprire il cerchio degli addetti ai lavori al care leaver che non è un adulto come i genitori di P.I.P.P.I., ma un appena maggiorenne di cui dobbiamo sostenere il diritto alla costruzione della propria autonomia attraverso l’emersione dei talenti e la realizzazione dei sogni con il mandato di cercare insieme strategie per renderli attuabili.

La corresponsabilità

Diversamente dal Tavolo, che ha una funzione di governance territoriale, qui sono in gioco i diritti e i sogni di una specifica persona, con la sua storia, le sue risorse e le sue ferite.

Le peculiarità sopra descritte richiedono ai servizi locali un’attenta valutazione di quali dispositivi di incontro qualificare come EM della sperimentazione, il ricorso a strutture di équipe già esistenti impone una loro ridefinizione, in termini di partecipanti, ogni volta che al centro del confronto e del processo decisionale sia l’analisi di un percorso individuale o di una fase delle sperimentazioni. Le EM esistenti, in genere sono costruite attorno ai paradigmi della tutela e della protezione, mentre la presente progettualità fa riferimento a quelli di autonomia e adultità.

L’EM si sviluppa così non in un adempimento di ruoli ma nella corresponsabilità rispetto al perseguire degli obiettivi trasformativi. Gli attori possono non essere tutti sempre presenti, la loro partecipazione dipende dalla fase del percorso, dalle priorità di intervento e dalle necessità legate a ogni singolo progetto. Taluni attori, infatti, potranno essere invitati su questioni particolari. L’ascolto dei diversi punti di vista rispetto all’andamento del progetto individualizzato per l’autonomia consente di individuare piste e ostacoli in una prospettiva di responsabilità comune.

L’individuazione dei soggetti

All’EM, in un formato che ancora non include la partecipazione del care leaver, spetta l’individuazione dei soggetti da coinvolgere nella sperimentazione e lo svolgimento dell’Analisi Preliminare utile a verificare l’effettiva possibilità di inclusione. In questa fase potranno essere presenti tutti gli adulti di riferimento dei care leavers individuati. Questa fase iniziale è utile che sia avviata con il compimento del diciassettesimo anno dei potenziali beneficiari, con i quali tuttavia è necessario svolgere dei colloqui finalizzati a fare un bilancio del percorso effettuato fino a quel momento e prefigurare i possibili percorsi futuri raggiunta la maggiore età.

Una volta verificata la possibilità di inserimento nella sperimentazione, l’EM, incluso il tutor per l’autonomia, procede alla costruzione del Quadro di analisi con l’ascolto attivo e la partecipazione del ragazzo o della ragazza, arrivando fino all’elaborazione del Progetto individualizzato per l’autonomia.

La formazione flessibile dell’EM dovrà consentire il rispetto della vita privata del care leaver, della sua privacy e delle sue fragilità. Se il ragazzo e la ragazza dovranno essere sempre presenti, in quanto protagonisti, la presenza degli altri attori verrà valutata caso per caso.

I Componenti

  • il care leaver, fin dal 17esimo anno se possibile, a partire dal completamento della valutazione iniziale;
  • l’assistente sociale responsabile, che rappresenta il filo di continuità nella storia di vita del CL, ma che – a secondo dell’organizzazione territoriale dei servizi sociali – potrebbe dover effettuare un passaggio con un collega che si occupa degli adulti; ha molteplici funzioni nella Sperimentazione, incluso quella di regia;
  • l’educatore della comunità di accoglienza/la famiglia affidataria – nella prima fase o se vi è un regime di proroga amministrativa, nella prospettiva della continuità degli affetti, quindi con la funzione di consentire il cambiamento e la separazione come svolta per l’autonomia e non come perdita o abbandono, come invece è stata la separazione dal nucleo biologico al momento del collocamento fuori famiglia;
  • lo psicologo o altro professionista che ha in carico il giovane o che può sostenerlo nel percorso di autonomia, trattando il tema organizzativo e clinico della transizione dalla tutela ai servizi adulti nella prospettiva dell’empowerment e della gestione delle riattivazioni traumatiche che si sviluppano affrontando i compiti di autonomia;
  • il tutor per l’autonomia che rappresenta la figura professionale nuova al fianco del CL e nelle connessioni con i diversi ambiti del Progetto.

Le Dimensioni

Nell’EM, a seconda delle necessità, è importante coinvolgere i soggetti che sostengono la sperimentazione nelle diverse dimensioni o che possono essere ingaggiati in base allo specifico progetto. Ad esempio:

  • la dimensione abitativa: il proprietario dell’appartamento o il referente di un’eventuale organizzazione che gestisce il cohousing quale interlocutore per trattare le difficoltà e sostenere l’indipendenza.
  • L’area della formazione: un insegnante referente, il tutor d’aula, ecc. sono soggetti importanti per far convergere le prospettive, ma anche attraverso sguardi divergenti esplorare nuove possibilità e trattare le difficoltà che possono non essere colte in un contesto che non ha prevalenza educativa. Infatti, diversamente dalla scuola per l’infanzia o primaria ingaggiate in P.I.P.P.I., nella scuola secondaria di secondo grado e/o della formazione professionale, lo sguardo su giovani è prevalentemente prestazionale, orientato nelle situazioni migliori a far emergere e valorizzare talenti e competenze, ma non preparato ad un’attenzione personalizzata ed integrata al progetto di vita dei giovani.
  • Il mondo del lavoro: un referente dell’azienda dove il beneficiario si può inserire con contratto di tirocinio e/o inserimento lavorativo per condividere preventivamente le risorse su cui giocare, le competenze presenti e/o da sviluppare, e per trattare le resistenze personali o del contesto, individuare strategie, ecc.
  • Il mondo delle relazioni: sono da ingaggiare le persone/organizzazioni che si sono già implicate nella storia del care leaver sostenendolo nello studio, nel tempo libero o che a qualche titolo possono ora offrire opportunità culturali, ambientali, sportive e disponibilità ad una relazione  di supporto, ad esempio un educatore scout, l’allenatore sportivo, un catechista, ecc.
  • Il mondo delle progettualità: ad esempio il titolare di una scuola guida o dell’ACI per l’acquisizione della patente, il referente di un istituto di credito per l’educazione finanziaria, un volontario esperto di informatica per migliorare l’accesso alle tecnologie, il referente di una ONG che vuole sostenere lo sviluppo di un particolare talento,ecc. in base a quanto emerge nel Progetto.